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Pittore

Sergio Rossi Pittore
Sergio Rossi pittore

Appena dopo il conflitto mondiale Rossi mostra una iniziale, chiara adesione alla corrente estetica allora diffusa negli ambienti della sinistra politica: il realismo sociale, per poi allontanarsene per penetrare maggiormente il vero significato di realismo e sviluppare una visione del mondo estremamente personale e libera da costrizioni di partito.

Vengono istituiti in quegli anni diversi Premi ai quali partecipa in più occasioni e che hanno il pregio di non subire pressioni esterne. La particolarità di questi concorsi si ritrova nella giuria, spesso costituita da gente del popolo, e nelle tematiche, riguardanti questioni sociali: il mondo dei lavoratori, la lotta del popolo, la pace. Il tema dei lavoratori è una forte presenza nella sua produzione artistica di questo periodo: egli ne analizza a fondo le condizioni sino a trasformare gli attrezzi da lavoro in nature morte dense di significato.

Corrispondenza tra documentazione fotografica e il disegno
Corrispondenza tra documentazione fotografica e il disegno

Diverse sono inoltre le corrispondenze tra fotografie da lui scattate in luoghi particolarmente significativi e disegni realizzati in un secondo tempo con taglio fotografico. Nel 1958 Rossi compie un viaggio in Israele, a scopo didattico, e partecipa ad un seminario della Fédération internationale des communautées d'Enfants, organismo dell'UNESCO. Torna con moltissimi appunti e parecchi disegni e foto, soprattutto di ragazzi del luogo.

Nel 1960 Rossi prende in affitto uno studio a Milano, dove intende spostarsi durante alcuni fine settimana per dipingere in tranquillità.

Sergio mentre dipinge all'Istituto S. Corona di Pietra Ligure
Sergio mentre dipinge all'Istituto S. Corona di Pietra Ligure

Nello stesso anno le sue condizioni di salute peggiorano e viene ricoverato in un istituto di cura, l'Istituto Santa Corona a Pietra Ligure, dove però non rimane inattivo e riesce ad organizzare iniziative per i pazienti più giovani dell'ospedale; si dedica soprattutto ad insegnare le tecniche teatrali e a realizzare con i ragazzi veri e propri spettacoli. Il teatro ha una funzione artistica e in una certa misura terapeutica: serve a esprimere e a sdrammatizzare gli stati d'animo. Diverse opere di quel periodo rappresentano i ragazzi ricoverati. Questo è il periodo in cui avviene un cambiamento stilistico nel suo lavoro: il segno è più fluido, la pennellata più libera. Dipinge molto durante i mesi che trascorre all'Istituto S. Corona, ritrova le condizioni per dedicarsi interamente alla pittura (cui aveva rinunciato dirigendo il Villaggio), pensare alla pittura e finalmente tradurre in opere le idee alle quali teoricamente si dedica da tempo.

Ragazzo con cilindro
Ragazzo con cilindro

Oltre alle numerose esposizioni collettive cui Rossi partecipa accanto a nomi importanti del panorama artistico dell'epoca, due sono le mostre personali realizzate: nel 1960 alla Galleria “Piccola Permanente” di Varese e, nel 1962, la mostra postuma alla Galleria “Totti” di Milano. La permanenza al S. Corona ispira diversi quadri, esposti alla “Piccola Permanente” prima, e poi selezionati dai critici per la mostra alla “Totti”. Appaiono i paesaggi liguri, gli ulivi e naturalmente i ragazzi ricoverati.

Sergio Rossi ha pure eseguito affreschi sia al Villaggio della Rasa, sia presso la Cooperativa di Biumo Inferiore e Belforte (circolo sociale ricreativo autogestito). Quest’ultimo affresco porta il titolo: “Allegoria della pace e dell'amicizia tra i popoli”.

La moglie Rosina racconta in un'intervista: “le strutture del Villaggio sono state affrescate da lui (Sergio) con cicli pittorici e, ovunque il luogo lo permettesse, lasciava un suo segno. Aveva dipinto la fontana, i vasi di coccio sopra le colonne lungo i viali e curava le scenografie degli spettacoli teatrali. Tutta la competenza tecnica e la sua particolare vena artistica erano state messe interamente al servizio dei ragazzi e del Villaggio".

Vivere al Villaggio, dal punto di vista estetico, era molto stimolante: ogni elemento acquistava vitalità espressiva e ciò contribuiva enormemente alla salute interiore dei ragazzi. Altri cinque affreschi sono invece andati distrutti, a causa dell'incuria in cui è stato lasciato il luogo in cui sorgeva il Villaggio, negli anni appena successivi alla chiusura dello stesso, anni in cui l'ex Villaggio è stato saccheggiato e ridotto in macerie: alcuni affreschi sono ormai praticamente irrecuperabili, per esempio “La morsa”, “Le quattro stagioni”, dipinto sulle pareti del refettorio, e “Allegoria della Vita”, su pareti ora crollate.

Per visionare le opere di Sergio Rossi si vada all'Archivio delle Opere

Altri link:
utenti.romascuola.net/bramarte/realismo/
www.guttuso.com

Mostre
Mostre personali

“La Piccola Permanente”, Varese - 1960
Nel 1960 è allestita un'esposizione nelle sale della galleria “La Piccola Permanente” di Varese; molti giornali dedicano parole di apprezzamento per le opere esposte, ma soprattutto elogiano l'artista per aver saputo aspettare la propria maturità stilistica, nonché personale, e aver soddisfatto le aspettative di chi, esperto d'arte e conoscendo Rossi come pittore, ha avuto l’occasione di visitare un'originale esposizione.
Renato Guttuso, uno degli amici più vicini, presenta con una lettera la prima personale dell'amico:

Caro Sergio,
di tutto “il parlare invano” che si fa ai nostri giorni, buona parte riguarda la pittura. Particolarmente vani sono, di solito, i discorsi sui cataloghi delle mostre personali. Scusami perciò la forma epistolare che mi consente un breve colloquio con te, ma svolto davanti a testimoni. Ti dico subito che mi pare che tu abbia fatto bene a rimandare fino a oggi la decisione di esporre il frutto del tuo lavoro. In questi anni, pur potendo lavorare nei ritagli di tempo (assai scarsi) che il tuo apostolato di educatore ti lascia, ti sei maturato, hai eliminato molte tentazioni e contraddizioni, hai contenuto la tua ricerca su temi principali, la cui ispirazione è però legata ad un'unica sorgente di sentimenti.
Anche in te, come in altri artisti, si rivela quel quadro di approfondimento nei confronti della rappresentazione della realtà, che ha permesso al movimento in pittura (volgarmente e impropriamente detto neorealista) di non ristagnare nella sua fase di dichiarazioni polemiche, ma di procedere e svilupparsi in una ricerca più intensa e più varia.
Io ricordo quel “banco di falegname” che esponesti a Vado Ligure, e che fu giustamente premiato. Sebbene i tuoi problemi di oggi siano diversi, quell'opera, nella sua apparente secchezza disegnativa, rivela una freschezza di visione e un' immediatezza che potevano fare intuire i tuoi sviluppi attuali. Così i colori volutamente stridenti dei tuoi bambini mascherati hanno ceduto il passo al gioco di luci gentili, che ambientano le figure in un'aurea veritiera e poetica. Io credo che questo sia il tuo mondo più sincero; e non è un caso che il tuo lavoro si svolga sui giovani, per conoscerli, guidarli, aiutarli a farsi uomini.
Mi sembra troppo facile dire che “si sente” questo tuo amore per la gioventù che attui a prezzo di tanti sacrifici; si sente che i tuoi “bambini” non sono occasioni fortuite ed esercitazioni formali, ma materia vivente, facente parte la tua vita, e che tu fai in pittura uno sforzo equivalente a quello che fai nella tua vita di educatore.

In questi tempi di eleganti evasioni, di storture intellettualistiche, di irrazionalismo e snobismo, tu batti la strada del cuore umano, la più amara e la più faticosa ma anche quella che ha davanti a sé la verità e la poesia.
Sono certo che di ciò il pubblico si accorgerà e ti accorderà la stima e la fiducia che i tuoi amici (ed io tra essi) ti portano.
Tuo Renato Guttuso

In effetti, parlando di Sergio Rossi, non si può pensare di dividere la vita di educatore da quella di pittore. Certamente egli ha rinunciato, per un periodo di dieci anni, a dedicarsi interamente alla pittura, ma non ha mai smesso di dipingere o disegnare, o insegnare le tecniche pittoriche, o ancora suonare la chitarra, fare teatro; non si è mai allontanato dal mondo dell'arte, consapevole del fatto che tutte le sue precedenti attività sarebbero state necessarie al compito che si era prefissato: aiutare e educare dei ragazzi che avevano perso molto durante gli anni della guerra. Questa esposizione dimostra come il suo stile sia cambiato nel corso degli anni e degli avvenimenti.
“ … nel realismo del Rossi, alquanto idealizzato, e reso qua e là quasi impalpabile da certe tonalità e costruzioni che confinano con il surrealismo nelle concezioni umane della sua arte.” (Aldo Bruno, Il pittore Sergio Rossi espone a Varese, in “Libera Stampa”, n. 228, 6 ott. 1960). Un giornalista, in un articolo su “La Prealpina” del 1° ottobre 1960, si chiede se “le prospettive aperte a se stesso dall'artista, prospettive d'arte, si libereranno da quel tanto di sanguigno, da quel grumo di dolore e di materia, che è nella realtà; ci si potrà chiedere, anzi, se non stia già liberandosene in certe compostissime armonie grigie, in certe costruzioni tonali, in certe fantasie libere di ragazzi su quinte rosa e cinerine. […] v'è un tal soffio di sincerità, di impegno globale, […] una fedeltà commovente alla realtà.” (Un infaticabile ricercatore della realtà, in “La Prealpina”, 1° ottobre 1960).

Su “Luce!” del 30 settembre 1960, il giornalista G.T. scrive, parafrasando Guttuso, che “Sergio Rossi batte la strada del cuore umano che è senza dubbio la più faticosa se non propriamente amara, e che ha per mete la verità e la poesia.” (G.T., Sergio Rossi, ottimo pittore alla Piccola Permanente, in “Luce!”, 30 set. 1960).

Quindi, come detto, pittore e educatore s’incontrano.
Anche i pareri dei critici d’arte, riguardanti i soggetti scelti e la forza espressiva degli stessi, sono dello stesso tenore: “[…] tutta la sua opera di pittore è poi ispirata ad una poesia che ha in sé una certa balucinante ironia che può indurre ad amare riflessioni. Il Porto ben disegnato e costruito, calmo e tranquillo, fa pensare ad una sosta della fatica umana; il Ragazzo con cilindro ha in sé qualcosa di Toulouse-Lautrec, cioè una specie di ironia amara, drammaticamente umana, come hanno un poco tutte le figure del Rossi”. (A.B., Un'opera ispirata alla poesia, in “L'ordine nuovo” , 1° ott. 1960).

“Tra le bellissime opere esposte ci sono anche dei capolavori intesi dal lato della statica, e del colore. Tutti i motivi, quelli che siano, crogiolati dalla sapienza introspettiva dell'artista, riflettono lo stesso impegno, la stessa scrupolosa cura e la evidenza di quella inequivocabile personalità. […] egli ha dedicato una serie di studi alla maternità, di cui ha saputo rendere evidenti le deformazioni e il peso pur conservandone tutta la poesia. […] questo pittore che oramai entra a far parte della famiglia degli artisti varesini.” (Aldo Bruno, Il pittore Sergio Rossi espone a Varese, in “Libera Stampa”, n. 228, 6 ott. 1960)

“Alcuni disegni, fra le sue cose migliori, sono prova di una tenacia infaticabile di ricerca: le sue donne gravide, con il loro peso terreno, i suoi ragazzi colla loro povera nobiltà (da scoprire, intera, e ci vuol molto cuore), i suoi ulivi, le sue cave non sono frutto d'una gratuita e romantica ‘illuminazione’: questo mantovano è testardo nelle sue indagini come un sezionatore infaticabile (Sergio Rossi alla Piccola Permanente, Un infaticabile ricercatore della realtà, in “La Prealpina”, 1 ott. 1960).

“Siamo perciò unanimi nel riconoscere a Sergio Rossi la qualità di pittore ottimo.” (G.T., Sergio Rossi, Ottimo pittore alla Piccola Permanente, cit.).

Galleria “Totti”, Milano - 1962
La seconda mostra personale è postuma, e viene presentata alla galleria “Totti” di Milano nel marzo del 1962.

Attualmente i documenti relativi alla mostra sono pochi. Rimangono alcuni articoli e le fotografie di quasi tutti i dipinti esposti, oltre al piccolo catalogo che contiene gli scritti più preziosi: alcuni pensieri dello stesso Rossi e la lettera con cui Renato Guttuso aveva presentato la sua prima personale, con una successiva memoria che volle dedicargli in questa seconda occasione:

A questa lettera, scritta a Sergio Rossi, in occasione della sua mostra personale a Varese, - scrive Guttuso - vorrei aggiungere ora qualche parola.
Da quella sua mostra di Varese, Sergio non ha potuto fare nuovi passi. La lunga e dolorosa malattia e la fatale conclusione hanno fermato le sue ansie, le sue ricerche, il suo sentimento, poco oltre il punto che quella mostra fissava.
A riguardare il suo lavoro, a pensare attraverso quali difficoltà esso si è svolto, durante anni trascorsi nel lavoro di educatore, di organizzatore, d'infermiere, di padre (non solo dei suoi figli veri) lavoro ostacolato da tutti coloro che avrebbero avuto il dovere di aiutarlo, continuamente assillato da problemi finanziari e morali, fiaccato dalla malattia, questo suo lavoro assume una nuova luce, un alto significato morale e poetico.
Dei torti e delle tribolazioni Sergio cercava e trovava qua il suo compenso, in questi brevi spazi di tela che gli davano forse altre pene, ma in cui riusciva a liberarsi, a vivere un po' per se stesso, a esprimere un po' della poesia che c'era nel suo cuore.
Questa poesia si ritrova nei suoi quadri, vi si ritrovano i bambini che egli ha amato, gli alberi, gli oggetti, gli orizzonti. Questa sua opera si fonda con tutta la sua vita di uomo libero, onesto, generoso, altruista, essa è un'alta testimonianza umana e poetica.
Renato Guttuso
Velate, febbraio 1962

Sulle pareti della Galleria “Totti” rivivono, oltre al vigoroso autoritratto, le monumentali gravide, testimonianza delle quattro gravidanze della moglie, accanto alla Carriola in grigio, la cui forma e colore ricordano ancora un altro grembo, e alla Carriola nel cortile; i ragazzi, un po' più emaciati e sofferenti, quelli dell'istituto in cui è stato in cura verso la fine degli anni '50, la fornace, soggetto che Rossi non abbandona durante tutta la sua produzione pittorica, così come i lavoratori.

Sono molto interessanti anche gli studi, in realtà disegni finiti, non presenti alla mostra, ma importanti per capire l'analisi accurata che Sergio conduceva per ognuno dei soggetti rappresentato più e più volte.
Ciò che più appare evidente è il cambiamento stilistico dell'artista, il quale opera una sorta di liberazione dai contorni che avevano caratterizzato tutto il primo periodo, quello in cui iniziava la vita al Villaggio e il duro recupero dei ragazzi, e si lascia andare a forme scontornate e flessuose, leggere. Sua dote è anche un colore dalle fini modulazioni tonali, specialmente basato su belle note basse e aristocratici grigi, in cui si armonizzavano cromatismi intensi e luminosi. Partito da una visione più sensibile alla realtà, in seguito va maggiormente astraendone, ma senza tuttavia abbandonare la figurazione e piuttosto rendendola sempre più spirituale e sognata, come in taluni paesaggi soprattutto ricchi di atmosfera e d’incanto contemplativo.

“Del suo ultimo periodo sono senz'altro tra le cose migliori i suoi alberi, dipinti col senso dell'aria, della freschezza naturalistica della luce e, insieme, con il senso della vita vegetale. Ma anche le sue marine liguri rivelano il grado di sensibilità e di capacità esecutiva a cui Rossi era arrivato. […] Rossi è vissuto soprattutto per gli altri, ha dato tutto se stesso ai suoi ragazzi del Villaggio della Rasa. Se la poesia è impulso, generosità, ardore, Rossi era veramente un poeta.” (m.d.m. [Mario De Micheli], Postuma di Sergio Rossi, in “l'Unità”, 30 mar. 1962).

Pensieri di Sergio Rossi (contenuti nel catalogo della mostra alla galleria “Totti”)
Realismo è razionalità che evolve i dati istintivi al di sopra delle particolarità e cerca nel rapporto con la storia un sistema di rapporti.
Angoscia, assillo esistenziale che spesso si traduce nella fissità metafisica o nell'invenzione radicale di ritrovare una soluzione in un pensiero che nasce dalla concretezza della vita dell'individuo in una sofferenza cosciente. …liberarsi dall'oggetto nella sua apparenza fenomenologica. Cercare l'essenza dinamica e luminosa – la metafora pittorica. Occorre vedere e giudicare la realtà e prenderne coscienza o intuizione – la percezione deve diventare conoscenza.

I pensieri che seguono sono stati affiancati ai dipinti presenti alla galleria “Totti” come appaiono in successione:

Pur sapendo come nell'atto creativo nascono determinati valori sento ugualmente la necessità di un orientamento dialettico del mio pensiero.
La mia è una lenta maturazione dopo anni di mortificazioni sul piano creativo.
In questi giorni mi sta guidando istintivamente il bisogno di fare della buona pittura – in essa io trovo l'emozione umana più vera.
Nei miei ultimi lavori (in prevalenza paesaggi con alberi, montagne, mare) tutto il mio faticare era proteso a tradurre liricamente la forza degli alberi, l'energia e i ritmi del movimento dei piani della terra e i suoi valori coloristici. Sono cosciente degli elementi contrastanti contenuti ancora nel mio lavoro. So che ancora dovrò molto faticare, ma ho fiducia nella mia volontà. Speriamo che la salute non mi manchi…

Mostre collettive

Dal 1950 partecipa alle seguenti mostre

Premi e riconoscimenti a Sergio Rossi pittore

Nel maggio 1950 la sua opera “Mondina” (“… la “mondina”, di sgargiante effetto iconografico, del Rossi …”) vince il secondo premio alla prima mostra delle Olimpiadi culturali della gioventù lombarda allestita a Milano presso l'Arengario, mostra in cui sono premiati i giovani artisti che “…operano sotto gli impulsi degli istinti umani e naturali.” (Vincenzo Costantini, In liquidazione l'arte estremista, in “Corriere Lombardo”, 20 maggio 1950). Nel 1951 allestisce con il collega e amico M. Orsellini un grande pannello raffigurante la solidarietà e l'unità operaia nella lotta per il lavoro e la pace; partecipa al concorso nazionale indetto dalle riviste “Rinascita”, diretta da Palmiro Togliatti, e “Vie Nuove”, diretta da Luigi Longo, per disegni e pitture sul tema della pace.

Il 10 aprile viene segnalato per un premio acquisto, dalla Commissione giudicatrice del concorso, alla mostra presso la Galleria d'Arte “La Conchiglia” di Roma. La mostra è poi portata a Milano alla Galleria “Cairola” dal 25 giugno all'8 luglio dello stesso anno. In agosto è segnalato alla quarta edizione del Premio “Suzzara”, dedicato al tema Lavoratori nell'Arte, con il dipinto “Lavoratore in rosso”, mentre in ottobre partecipa e vince un premio alla prima Biennale internazionale d'Arte Marinara, con il dipinto “I barcaioli”. Questa mostra richiama l'attenzione ancora una volta su una categoria specifica di lavoratori, i lavoratori del mare. L’interesse che riunisce artisti, noti e meno noti, è in questo caso legata al “fare i conti con la realtà”. Espongono insieme a Rossi: Carrà, De Pisis, Sironi, Vittorini, Poli, Vedova, Schiavi, Pizzetto, Levi, Mafai, Guttuso, Sassu, Pizzinato, Zigaina, Mucchi e altri (Mario de Micheli, Il lavoro del mare nelle opere di 400 artisti, in “l'Unità”, 13 ott. 1951).

Infine, nell'agosto del 1952, la sua opera “La morsa” ottiene il terzo premio (A Treccani e Motti il premio Vado Ligure, in “l'Unità”, 8 ago. 1952) alla seconda Mostra nazionale di Pittura e Scultura “Premio Città di Vado Ligure”, organizzata dalla Casa della Cultura di Vado Ligure in collaborazione con il Sindacato Artisti e il Comune della città.

“Sergio Rossi è un giovanissimo dotato d'una sicura energia figurativa, e la sua ‘Morsa’ è un particolare interessante di un mondo da curare, capire ed esprimere e il cui protagonista, l'operaio, è già una figura importante della nostra pittura” (Luigi Ferrante, I pescatori di Vado hanno premiato gli artisti, in “Realismo”, set. 1952).

Di quest'opera parla anche il critico Mario De Micheli:
“E mi ricordo anche la sua gioia allorché gli fu comunicato che aveva vinto un premio al concorso di Vado Ligure. Facevo parte della giuria in quell'occasione, e il suo quadro non l'ho dimenticato: era una natura morta, una morsa da falegname fissata al bancone: un quadro plastico, vigoroso, che s'impose per il suo carattere singolare, per la sua solidità oggettiva. (m.d.m. [Mario De Micheli], Postuma di Sergio Rossi, in “l'Unità”, 30 mar.1962).